Qualcosa si è spezzato.
Qualcosa si è spezzato. All’inizio era solo una sensazione. Si è insinuato come un presentimento, un presagio che qualcosa di terribile stava per accadere. Qualcosa di diverso si stava disvelando piano piano nella sua mente, prendeva forma, qualcosa di cui cominciava lentamente a rendersi conto.
Passavano i giorni. Affioravano strani pensieri, inquietanti e sempre più “reali”. Se all’inizio si chiedeva se quanto stesse avvertendo potesse essere vero, via via queste percezioni, questi sospetti, questi pensieri diventano granitica certezza.
R. si sente solo, impaurito, non può fidarsi di nessuno. Le persone che amava gli sono all’improvviso ostili, non potrebbero capire quello che prova, quello che pensa, quello che vede. Meglio tacere.
Così R. non dice niente, continua la sua vita apparentemente come sempre, ma dentro di lui il dubbio, il sospetto, l’incertezza si fanno sempre più spazio. È l’inferno in terra quello che sta vivendo, ma gli altri ancora non lo sanno.
Quando arriva la prima crisi, ormai R. non ne può più. I suoi amici, la sua famiglia, non lo riconoscono, non riescono a capire cosa gli stia succedendo. Quando arriva l’ambulanza la sofferenza di R. è al culmine: è terrorizzato, non sa come mettersi al sicuro dagli altri e da se stesso, dai suoi pensieri ossessivi e terrificanti. Tutto è fuori controllo.
Il trauma del primo ricovero è qualcosa che segnerà la vita di R. per sempre.
Quello che non viene considerato è che R. è anche una persona. Ha avuto esperienze, vissuti, emozioni. Ha avuto frustrazioni. Forse troppe, forse troppo intense. Fino a che qualcosa nella sua mente si spacca, creando una scissione tra due mondi paralleli: il suo, estraneo e spaventoso, in cui giorno dopo giorno si isola inesorabilmente, e quello dei suoi familiari, che non lo riconoscono più, vedendolo naufragare come un iceberg alla deriva verso un orizzonte lontano.
Il compito dello psicologo è quello di (ri)costruire ponti: tra il paziente e la realtà che lo circonda; tra lui e i suoi familiari; tra il paziente e le sue paure, le sue sofferenze, le sue frustrazioni. È un cammino di ascolto, condivisione, comprensione, spiegazione di quei significati a cui R. non è riuscito a dare un posto nella sua narrazione di vita. Trovare insieme le parole per rimettere ordine tra i pensieri e le emozioni che sembrano ora inondare come un turbine la mente di R.
Portare il paziente alla consapevolezza è la parte più difficile. Convincere qualcuno che quello che vede, che sente, che immagina come realtà oggettiva non esiste nel mondo esterno ma è solo dentro di lui. È questo in fondo quello che è successo nella mente di R.: si è rotto quel confine tra il suo mondo interno e il mondo esterno, i due mondi si sono confusi, mescolati.
D’ora in poi R. dovrà imparare a riconoscere i suoi stati interni, a non fidarsi sempre di se stesso, a interrogarsi se ciò che pensa, sente e vede è reale oppure è il frutto delle sue emozioni. Un percorso arduo, ma non impossibile. Il terapeuta, come un buon navigatore, ha il compito di aiutare R. a sedersi di nuovo al volante della sua vita.